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Associazione Culturale A.P.S.
Gesto e Parola
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Le Sedie di Giovanni Carpanzano hanno come sfondo un paesaggio onirico, espressione spettacolare di incubi e di fantasmi. La messa in scena è violenta e crudele, perché non edulcora la realtà, non offre concetti nuovi ma una trasposizione: il racconto della condizione e del destino umani. Tutto ciò implica una rivoluzione della drammaturgia tradizionale: l'azione non è intrigo, ma una situazione complessa e conflittuale senza soluzione.
I personaggi sono "tipi" senza psicologia, parlano per formule convenzionali e per luoghi comuni.
La riscrittura del testo originale e la messa in scena sono provocatorie e beffarde, volutamente polemiche. Il nonsense, però, non si estingue in mero gioco, ma cela una critica ben più profonda: al conformismo e alla banalità.
L'evasione porta sempre al nulla, l'unica soluzione è accettare la vita nella sua contraddittorietà, negli elementi alienanti come nei suoi autentici valori.
La riscrittura vede non già una coppia di anziani ma due donne: espressioni di un’unica personalità avvolta nella follia della solitudine e della massificazione odierne. L’opera è ripensata come un lungo soliloquio in cui la persona si trova faccia a faccia con la sua coscienza deformata, con la sue follia, con le sue personalità multiple. L’essere umano è solo nella folla, e ciò lo rende ancora più tragico, ancora più assurdo. Le attrici rappresentano i borghesi inariditi e allucinati dalla solitudine, non riescono a comunicare, si illudono di esprimere il proprio dramma, ma i clichés indicano il vuoto interiore. Le loro vite sono sopraffatte dal materialismo, soffocate da una realtà che le aliena, e ogni tentativo di opposizione si conclude con il fallimento: rendersi conto di non aver reso possibile ciò che avrebbe dovuto essere, e vivere in un presente che non ha saputo essere.
Questo spettacolo rimette in discussione le forme tradizionali del teatro, c’è un rifiuto del realismo nella tinteggiatura dei caratteri e nella descrizione dei comportamenti sociali, il teatro non è il riflesso della realtà quotidiana: è una messa in scena, teatro metafisico, che mette in scena personaggi il cui valore simbolico testimonia la situazione dell’uomo nell’universo. I personaggi sono esseri angosciati, senza scopo nell’esistenza: provano, invano, a sperare ancora, cercando, a tentoni, una via d’uscita in un universo nel quale non hanno il loro posto. Animati da comportamenti meccanici e ripetitivi, essi vengono poco a poco intrappolati in un ambiente in decomposizione. In un mondo estremamente estenuante, essi continuano a vivere per abitudine, aspettando una morte onnipresente che li getterà in un nulla definitivo. Banalità delle parole, frasi destrutturate, povertà e tecnicità maniacale del vocabolario, onomatopee, battute brevi e sconnesse, lunghi monologhi verbali: tutto concorre a mostrare come il linguaggio, invece di essere strumento di comunicazione, è un ostacolo che non permette l’instaurazione di scambi veri tra gli esseri umani.
Regia: Giovanni Carpanzano
Aiuto regia: Maria Maddalena Ascione
Attrici: Francesca Cartaginese e Anna Broccardo
Scenografie: Giovanni Raja da un'idea di M. Ronda
Light Designer: Michele Seminara
Sedie: gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Catanzaro